Presentato a Siena, al Corso di Operatore delle Società Sportive, In fuga. Pedalando attraverso i secoli: Firenze e il Tour de France di Massimiliano Bellavista e Paolo Ciampi.
Nel corso della presentazione Massimiliano Bellavista ha precisato che non si tratta di un libro sul Tour de France, ma di tante storie, non solo sportive e di campioni, legate al ciclismo a Firenze nel corso di due secoli. Storie ricostruite con difficoltà per la scarsità di fonti, se non testi conservati da società sportive o da qualche ente pubblico, e ricorrendo allora soprattutto a librai antiquari che hanno permesso di scoprire numerosi inediti.
Si parte quindi dalla figura di un nobile tedesco, Karl Drais, con la passione per le invenzioni, che ideò e sperimentò nel 1817 una macchina per correre a due ruote senza freni, conosciuta, in suo onore, come ‘draisina’. Un esemplare è conservato a Firenze nel Museo Galileo, dove, in una strada a lui intitolata, passerà proprio il Tour de France.
Si ricordano poi le prime apparizioni nella città fiorentina e in particolare alle Cascine dei velocipedi a due ruote già conosciuti in Francia e in Inghilterra, di cui parlò in un articolo del settembre 1869 il quotidiano “La Nazione”, dove si sottolineava la meraviglia suscitata, che si accompagnava alle preoccupazioni per i possibili pericoli creati da quei nuovi mezzi, al punto che se ne limitò la circolazione.
Proseguendo viene rievocata la costituzione nello stesso periodo del Veloce club, il primo a nascere in Italia, con sede in uno chalet ai margini delle Cascine che organizzò la prima corsa ‘cosmopolita’ di velocipedi su strada da Firenze a Pistoia. Quella corsa è considerata l’autentico atto di nascita per il ciclismo, anche se nel 1868 c’era già stata a Parigi in uno storico giardino – il parco di Saint Cloude – la prima gara di breve percorso su pista e ugualmente, solo nel 1869, a Padova nel Prato della Valle. Anche se, in questi casi, si trattava, non di gare, ma piuttosto di esibizioni di velocità. Dal racconto delle cronache giornalistiche dell’epoca si annota che la gara in linea di 33 km da Firenze a Pistoia, disputata nell’inverno del 1870 e partita significativamente dal Ponte alle Mosse per concludersi dopo circa due ore e mezzo con la vittoria non del belga favorito (il barone De Sarriette), ma di un giovane quindicenne americano – suscitò grande entusiasmo nel numeroso pubblico segnando l’inizio di una nuova epoca.
Sempre a proposito viene aggiunto che il Veloce club nel maggio 1873 riuscì a organizzare una seconda gara su strada, la Firenze-Prato-Firenze di 36 km, vinta dal belga deluso nella gara precedente, non senza sottolineare che in quegli anni, nonostante il grande seguito di appassionati, c’era “da vincere il pregiudizio e da affermare una libertà di movimento … fortemente limitata” tanto che persino un noto e discusso studioso, Cesare Lombroso, fondatore dell’Antropologia criminale, in un saggio del 1900 dal titolo Il ciclismo nel delitto, considerava il biciclo, alla pari di ogni nuovo meccanismo e tanto più per la straordinaria importanza assunta da tale mezzo, come capace di aumentare le cause ed i mezzi dei crimini.
Tuttavia si nota che la bicicletta prendeva sempre più piede passando da mezzo esclusivo, quale era stato in origine, ad oggetto popolare di grande diffusione. Firenze era stata una città di pionieri del ciclismo e meritò l’onore del passaggio di una delle otto tappe del primo Giro d’Italia, stravinto nel 1909 da Luigi Ganna. Già nel 1903 la prima edizione del Tour de France, vinta da Maurice Garin, aveva dato inizio all’epoca delle grandi corse a tappe dal lungo chilometraggio e spesso in notturna.
Il libro si concentra anche sul modo in cui il ciclismo veniva comunicato, anche attraverso storie di vie e quartieri, e racconti che parlavano dell’uomo, oltre che del campione. In particolare viene fatto riferimento al grande scrittore Vasco Pratolini, appassionato di ciclismo, che aveva seguito da inviato nel 1957 e nel 1955 il Giro d’Italia con resoconti di colore. Viene ricordato che, in Cronaca familiare, si descrive un luogo del cuore, lo chalet Fontana, che doveva il suo nome a Tullio Fontana, guardia notturna ciclista avventuriero, tanto da tentare, seppure invano, il giro del mondo in bicicletta. Fontana ideò a fine ottocento un ritrovo sul viale dei Colli dove raccontava di ciclismo con le sue metafore e mitologie, come più tardi avrebbe fatto il Chiosco degli sportivi in Via degli Anselmi, intorno a cui ruotava tutto il tifo degli appassionati di ciclismo.
Fra i luoghi storici vengono richiamate anche le officine meccaniche di grandi artigiani, in particolare quella in Via Gioberti di Giusto Pinzani, arruolato durante la Grande Guerra nel Corpo dei Bersaglieri ciclisti – all’origine di una intera generazione di meccanici – che sulla base di questa esperienza avrebbe poi costruito e numerato le bici su misura, diversamente dalle bici Bianchi più industriali fatte in serie nella stessa epoca. Fu fra l’altro lui, da vero mecenate del ciclismo e Presidente della omonima società, a scoprire Gastone Nencini che per questo quando vinse il Giro d’Italia gli donò la maglia rosa, rimasta poi esposta nella vetrina del negozio in via Gioberti finché non fu portata via dall’alluvione di Firenze del 1966 insieme a tante ‘azzurre Pinzani’ di gran valore e oggi rarissime.
Nella parte finale del volume, un tuffo nel passato fa riemergere alla memoria tante date importanti per la storia del ciclismo di Firenze:
il 1923, quando il Giro fa tappa in città nello stesso anno di nascita di Lorenzo Milani, il futuro sacerdote amante della bicicletta che usava questo mezzo percorrendo anche lunghe distanze per raggiungere i propri ragazzi;
il 1940, quando Gino Bartali, ormai fuori classifica per una caduta, nella tappa del Giro partito da Firenze aiuta il suo gregario, il giovane promettente Fausto Coppi, a conquistare la maglia rosa;
il 1965, quando il Giro, partito per la prima volta fuori dall’Italia, cioè da S. Marino, terminò con il trionfo finale di Vittorio Adorni proprio a Firenze dopo una tappa di trecento chilometri seguita da un grande pubblico nel percorso da Prato, dove andò all’attacco il fiorentino Poggiali, raggiunto proprio vicino all’arrivo. Fu quello l’anno del grande successo dello squadrone Salvarani, visto che un giovane Gimondi, terzo classificato al Giro d’Italia, vinse poi il Tour;
il 1973, quando in un Giro dominato da Eddie Merckx, il giovane Francesco Moser vinse a Firenze la sua prima tappa da professionista ripetendosi nel 1979 sempre nella città fiorentina in una crono di 10 chilometri, dove ebbe inizio la rivalità con Giuseppe Saronni arrivato secondo, ma poi vincitore di quel Giro;
il 1989, quando dopo aver trionfato due volte al Tour de France Laurent Fignon si prese la rivincita su Moser che nel 1984 gli aveva preso la maglia rosa all’ultima tappa a cronometro;
il 2005, anno della inaugurazione del museo dedicato a Bartali con il ritorno del Giro nel fiorentino dopo quattordici anni, seguito da tanti altri passaggi e arrivi di tappa.
Nel ripercorrere tutte queste ricorrenze non manca un accenno alla antica rivalità fra Giro e Tour che risaliva specialmente al dopoguerra con il dominio di Bartali e Coppi nella corsa francese. Acuita dal clamoroso abbandono del Tour da parte delle squadre italiane dopo l’aggressione a Bartali, seguita da uno scontro con il campione francese Jean Robic in fuga insieme a Louis Bobet in una mitica tappa di montagna, poi conclusa, nonostante questo spiacevole episodio, con la vittoria di Bartali e la conquista della maglia gialla di Fiorenzo Magni, rimasta solo virtuale dopo il ritiro della compagine italiana che creò sconcerto e difficoltà agli organizzatori del Tour.
L’augurio degli autori, Massimiliano Bellavista e Paolo Ciampi è il superamento definitivo del vecchio antagonismo perché Giro e Tour sono considerati due monumenti da preservare, arrivando a prefigurare come sogno impossibile una corsa epica TourGiro che potrebbe unire nel proprio percorso Mediterraneo e Atlantico.
Del resto -secondo la conclusione del libro- proprio le storie del passato, le imprese, le sconfitte e le persone che le hanno vissute, come il toscano garbato che del ciclismo è stato il grande vecchio e maestro di vita, Alfredo Martini, evocano un’idea di libertà, leggerezza, meraviglia e bellezza. Il tutto mirabilmente riassunto nella citazione di Sergio Zavoli che indicava nella bicicletta “un modo di accordare la vita con il tempo e lo spazio” e “l’andare dentro misure ancora umane”.
Foto di keesluising, Pixabay
Massimiliano Bellavista e Paolo Ciampi
In fuga. Pedalando attraverso i secoli: Firenze e il Tour de France
Firenze, 2024
Editrice: I libri di Momprecem
Euro 12, pagg. 118