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Pallacanestro ed Associazionismo Cattolico | 60 anni di minibasket
Nel secondo dopoguerra la pallacanestro in Italia continuò a rappresentare un originale caleidoscopio con cui osservare ed analizzare le principali trasformazioni in corso nel processo di costruzione dello stato nazionale.
Nello specifico l’essere uno sport nato in America finì per enfatizzare ancora di più tali tratti, in seno alla golden age uscita dal secondo conflitto mondiale e al nuovo clima della guerra fredda.
Da subito emersero alcuni tratti importanti e riconoscibili. In primo luogo, sulla scia del mutato clima del paese intorno all’idea di patria, alla nazionale iniziò, almeno in un primo momento, a sostituirsi la centralità dei club, riconducibili all’Italia de mille campanili.
In secondo luogo il governo del basket non era più in mano ad un solo soggetto, la Federazione, ma si ne fece strada uno nuovo, la Lega, dal cui dualismo, ora conflittuale, ora di collaborazione, alternandosi come vettori trainanti, si sviluppò il movimento cestististico nazionale.
Un ulteriore elemento di interesse fu il tratto generazionale e di genere che investì la pallacanestro a partire dal boom economico. Il miracolo italiano a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60 vide anche la crescita di una dimensione economica sottesa al basket, prima sconosciuta o quasi. La piccola o media impresa, infatti, investì nella pallacanestro come vetrina per i propri prodotti sui mercati europei.
In quegli anni crebbe anche il numero dei praticanti e degli spettatori, con la fioritura di una serie di nuovi impianti, quasi sempre realizzati e gestiti, però ,dalla mano pubblica.
Sullo sfondo rimaneva, infatti, lo snodo irrisolto del dualismo tra professionismo e dilettantismo. Il basket si era emancipato dalla ginnastica nel periodo precedente, ma non aveva assunto una chiara connotazione in tal senso. Le due culture politiche dominanti del paese, cattolica e socialista, infatti, avevano una peculiare impostazione dell’idea di sport, ostile o quanto meno cauta verso il il professionismo.
In tal senso si creò una terza via al basket, alternativa tanto al modello a stelle e strisce quanto a quello sovietico. Ciò non impedì alla pallacanestro di divenire un vettore di consumi di massa, specialmente a traino dell’avvento del minibasket, a trazione familiare.
Dopo il 1992 con la fine della guerra fredda la pallacanestro in Italia sembrò imboccare la strada del professionismo, grazie all’aiuto però della politica, piuttosto che allo sviluppo di una vera cultura manageriale applicata allo sport, di cui la “querelle” dei diritti televisivi fu la sintesi. Nel frattempo era sorto un giornalismo specialistico legato al basket.
A guidare la pallacanestro tornò ad essere, come indirizzo, la FIP, riconfermando la centralità di una visione statalista dello sport, piuttosto che centrata ed espressione della società civile, restituendo centralità alla Nazionale.
Saverio Battente
Università degli Studi di Siena